Approccio economico e sociale: lavoro irregolare
Ogni 20 febbraio si celebra la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale e in APlanet abbiamo voluto fare un post speciale per questa data. Il tema stabilito quest’anno dall’ONU mira a dare visibilità all’instabilità che il lavoro irregolare dà al lavoratore. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) stima che oggi più di 6 lavoratori su 10 e 8 aziende su 10 nel mondo lavorano nell’economia sommersa. In altre parole, “più della metà della forza lavoro mondiale e più del 90% delle micro e piccole imprese del mondo” lavora in condizioni precarie.
Il lavoro irregolare include diverse attività – nella maggior parte dei casi pagate – che vengono svolte senza essere riconosciute, registrate o regolate. I lavoratori, non avendo alcuna garanzia, sono condannati a un lavoro precario e a una situazione di ingiustizia in quanto non hanno diritto alla protezione lavorativa e sociale fornita da un lavoro regolare quindi si ritrovano inevitabilmente in una posizione di vulnerabilità. Inoltre, l’economia sommersa colpisce più donne che uomini, aumentando così la disuguaglianza di genere.
Molti di questi problemi risiedono nello stato di diritto, ma anche le imprese hanno un ruolo chiave nel garantire un’occupazione di qualità. Le imprese devono assicurare il passaggio ad una posizione regolare e devono fornire un’occupazione che dia sicurezza ai loro lavoratori. Questo non solo beneficia la società nel suo insieme, ma è anche nell’interesse delle imprese, secondo il rapporto dell’OIL:
Quando le imprese si mettono in regola, in particolare aumentando la produttività e migliorando l’accesso al mercato, la loro sostenibilità migliora e la concorrenza leale nei mercati nazionali e internazionali è stimolata.
Transition from the informal to the formal economy – Theory of Change, OIT
Lottare contro l’economia sommersa significa ridurre la disuguaglianza, la povertà e rafforzare lo stato di diritto. Tutto questo si traduce in una società più equa, il che contribuisce a una maggiore coesione sociale.
Approccio socio-ambientale: giustizia climatica
Il tema proposto dall’ONU riflette la sfera economica e sociale dell’ingiustizia, ma lascia intatto l’impatto che il degrado ambientale ha sulla sfera sociale. Noi di APlanet vogliamo sottolineare in questo giorno cosa comporta il movimento per la giustizia climatica.
È necessario porre l’attenzione sul modo in cui si sta facendo la transizione verso un’economia verde / decarbonizzata e su come si farà nei prossimi anni. La crescente consapevolezza ambientale ha portato alla luce il fatto che non tutti hanno lo stesso accesso a spazi vitali non inquinati. Per questo l’8 ottobre 2021, i paesi di tutto il mondo hanno concordato che un ambiente pulito, sicuro e sano è un diritto umano fondamentale. La giustizia climatica include anche una transizione che sia inclusiva e non a scapito di alcune parti della popolazione.
L’accesso ineguale a un ambiente sicuro è legato alla povertà, tuttavia ci sono anche altre questioni che andrebbero valutate per capire perché alcune persone sono più esposte all’inquinamento e ai rifiuti di altre. È il caso del razzismo ambientale e degli esempi di geografie tossiche, fattori importanti dietro la distribuzione ineguale dei rischi ambientali.
Un ambiente sicuro come privilegio
L’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) spiega così il significato di razzismo ambientale nel suo rapporto 2020:
le situazioni in cui certi gruppi sono colpiti in modo sproporzionato dal degrado ambientale e dalla mancanza di servizi ambientali, a causa della discriminazione ed esclusione su base razziale. Gli effetti sono impatti negativi sulla salute, una ridotta qualità della vita e un ulteriore aumento delle disuguaglianze esistenti.
Pushed to the wastelands, (EEB 2020 p.9)
Queste dinamiche problematiche che dimostrano una profonda disuguaglianza possono verificarsi a livello locale, regionale e internazionale. Inoltre, le disparità razziali sono state identificate anche nell’ubicazione degli impianti di rifiuti tossici, anche a simboleggiare un modello di “applicazione ineguale delle leggi ambientali” per le comunità vulnerabili (Cole & Foster 2000, p.58).
Non si può ottenere giustizia sociale senza una transizione giusta. Rendere la transizione energetica inclusiva significa che le minoranze, le comunità emarginate e povere non devono essere colpite in modo sproporzionato. L’ambiente non può essere un privilegio per pochi. Come afferma il nostro CEO Johanna Gallo in Diario Responsable:
Senza giustizia sociale non c’è coesione, e questo è terribilmente triste. Non si possono costruire buone basi per la società senza equità e senza tener conto delle differenze di opportunità. L’ingiustizia crea solo divari, dolore e sofferenza; e quando questo accade si perde il potenziale della gente. Quindi è importante lottare per un futuro senza disuguaglianze.
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